El Numero Nueve – La recensione del docufilm sulla carriera di Batistuta
Sul profilo Instagram di CalcioTactics vi avevo chiesto che film recensire, fra “El Numero Nueve” e “I believe in miracles“. In molti avete votato per il biopic sulla vita di Gabriel Omar Batistuta, forse perché in molti avete nostalgia di questo incredibile campione, soprattutto i tifosi della Roma e della Fiorentina.
Ci sono due grandi temi che reggono le fila del film: il viaggio e il dolore. Incredibile si stia parlando solo di una vita di un calciatore, ma Batistuta non è stato solo un calciatore, e comunque di sicuro non un calciatore qualsiasi.
La particolarità della narrazione è che seguiamo il protagonista, un Batigol un po’ attempato, in un viaggio di ritorno in Italia, con la moglie, per rivedere Firenze come un vecchio turista, e non come di fatto una delle persone che più ha fatto gioire quella città (a un certo punto si stupisce pure “Dopo 30 anni si ricordano…“)
Non è quindi il racconto basilare della sua carriera, dalle origini ai punti più alti, fino al ritiro, ma più un percorso da fare insieme a lui. Da Firenze, la città che lo ha amato più di tutti, si va a Roma con un treno ad alta velocità, per rivivere i momenti dello Scudetto del 2001 insieme alla moglie, che come sorpresa gli fa vedere in sala i festeggiamenti del 17 giugno 2001, e i suoi gol migliori.
Dall’Italia poi, senza un vero e proprio nesso, si passa all’Argentina, e il luogo in cui vive adesso con la famiglia. Qui notiamo il Batistuta più intimo, il ragazzo di famiglia che sostanzialmente ha amato sempre e solo una donna, e pur avendo vissuto in 3 delle città più belle del Mondo, alla fine è tornato a casa sua, nella provincia del Sudamerica.
Se mi approcciavo a questo film un po’ gasato (per la serie: “Dai, spariamoci un’oretta e mezza di gol fantastici e un po’ di autocelebrazione“), ne sono uscito sostanzialmente distrutto dal punto di vista emotivo. Quello che lo schermo restituisce non è l’immagine di uno dei più grandi centravanti degli anni ’90, ma di un uomo molto più normale e fragile di quanto si pensi. Un uomo che è arrivato al punto di implorare per subire un amputazione delle gambe, per il troppo dolore che provava, e che alla fine adesso riesce a camminare grazie a due protesi alle caviglie.
Sono proprio i momenti che precedono e succedono gli interventi che Batistuta ha subito in Svizzera quelli più toccanti. L’argentino ci fa capire in tutti i modi che tutto quel dolore lo ha provato sostanzialmente per noi, per permetterci di vedere un giocatore così straordinario, ma non ce lo fa pesare, perché ha amato il calcio – principalmente il calcio delle sue origini, quello giocato nel prato di casa – più di ogni altra cosa.
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