Tornato in Italia nel pieno della maturità, Pereyra ha affinato nel tempo le qualità che lo rendono speciale.
Il 28 settembre 2020, giorno dell’ufficialità del ritorno di Roberto Pereyra all’Udinese, erano trascorsi quattro anni e quattro mesi dalla sua ultima partita in Italia, un Juventus-Sampdoria finito 5-0 con cui i bianconeri avevano suggellato uno scudetto vinto con tre giornate di anticipo e nato dall’incredibile slancio in rimonta dall’undicesimo posto dove erano scivolati dopo la famosa sconfitta con il Sassuolo. In coda a una stagione tormentata da problemi fisici, il mancato riscatto avrebbe spinto Pereyra di nuovo nell’orbita della famiglia Pozzo con il passaggio al Watford, lunga tappa intermedia prima del rientro in Italia, a chiusura del cerchio.
Dopo quattro stagioni, anche per il connazionale Rodrigo De Paul sembrava arrivata l’occasione giusta per accasarsi in un grande club e il mercato dei friulani si stava perciò avviando al termine ancora sospeso tra l’interessante allestimento della rosa ormai compiuto e la prospettiva di perdere il proprio miglior calciatore. Come in ogni recente sessione di trattative, le indiscrezioni su un suo possibile trasferimento si moltiplicavano: le offerte dall’Italia e dall’estero non mancavano, lui stesso aveva consapevolezza di una permanenza transitoria e destinata ai titoli di coda, e manifestava senza giri di parole la volontà di competere per traguardi più ambiziosi di una salvezza tranquilla. Eppure, in un epilogo già visto, al momento di fare sul serio e chiudere l’affare anche stavolta il novero dei pretendenti si sarebbe ridotto a pochi interessati titubanti nel piazzare il colpo decisivo. De Paul restava quindi in bianconero, in una squadra che aveva perso tra gli altri Barak e Fofana e aveva aggiunto al proprio organico un’assortita batteria di giocatori offensivi – Deulofeu, Pussetto e Forestieri – nel tentativo di migliorare la sterilità mostrata nel campionato precedente, concluso con il terzo peggior attacco del campionato. Con la conferma dell’ex Racing Club e Valencia e il contemporaneo acquisto di Pereyra, che fino a pochi giorni prima si candidava a sopperirne l’assenza, l’Udinese si scopriva più ricca di talento, con la possibilità concreta, rosa alla mano, di migliorare il tredicesimo posto della stagione precedente e di gettare buoni presupposti per il passaggio ad un calcio più propositivo rispetto al passato.

Le tre linee dell’Udinese nel 3-5-2 in fase di non possesso.
L’andamento della stagione ha preso però un’altra piega, con l’Udinese che si è scontrata per buona parte del campionato con gli stessi limiti strutturali già evidenziati l’anno scorso a partire dalla difficoltà ad assorbire variazioni alla propria natura di squadra chiusa e difficilmente modellabile, espressione di un calcio fatto di ostinata difesa degli spazi e veloci ripartenze in contropiede, fino ad arrivare alle scelte di Luca Gotti, per necessità conservative dell’assetto e delle impostazioni ereditate dai predecessori. Nonostante le criticità, è altrettanto chiaro come l’allenatore abbia provato con successo ad apportare alcuni cambiamenti, ad esempio dando più peso al centrocampo nella gestione del possesso e cercando, in fase di costruzione, di renderlo nevralgico per evitare il sistematico ricorso al lancio per le punte. Questo tentativo è stato senza dubbio facilitato dall’enorme contributo di De Paul, indiscusso faro tecnico e primatista rispetto ai compagni in quasi tutte le classifiche di rendimento, ma l’incremento delle sue possibilità di riuscita, inclusi la garanzia di un fraseggio efficace e l’ampliamento delle opzioni disponibili a gara in corso dipendono in modo diretto anche dall’apporto meno appariscente ma altrettanto prezioso di Pereyra: un giocatore determinante per la creatività e l’intelligenza delle scelte, adattabile ad una varietà di situazioni tattiche al punto da essere insostituibile, e della cui unicità ci eravamo forse dimenticati.

In questa fase di possesso, il movimento verso l’esterno toglie l’ultimo riferimento al difensore e complica le linee di passaggio. Ricevuta la palla, Pereyra sarà costretto a ripiegare all’indietro.
Le qualità di Pereyra restituiscono la concreta sensazione di un calciatore affidabile, senza particolari eccellenze eppure in grado di fornire letture e applicazioni di livello in ogni fase della partita grazie al connubio tra importanti capacità tecniche e la notevole quantità aggiunta nel corso degli anni al proprio gioco. Il processo di costruzione e consolidamento avviato nel biennio al River Plate e proseguito dalla prima esperienza all’Udinese fino al suo ritorno in Friuli dopo il passaggio alla Juventus e i quattro anni al Watford ha formato un calciatore innanzitutto versatile, schierato in ogni zona del centrocampo e a ridosso dell’attacco in una carriera vissuta al confine tra le proprie vocazioni e le necessità tattiche della squadra. Dopo gli inizi come regista nel Club Cadetes De San Martin di Mar de Plata, ancora oggi è difficile individuare quale sia il suo posto naturale in campo, fin dal trasferimento a diciotto anni al River Plate dove, come racconta lui stesso, veniva provato in ogni posizioni: «All’epoca venivo utilizzato a sinistra, perché volevano che sfruttassi il destro quando facevo le finte a rientrare: se ci pensi è anche una difficoltà in più, ma è anche una possibilità per imparare qualcosa di nuovo. È anche grazie a quell’esperienza che ho capito quanto nel calcio di oggi sia fondamentale saperti disimpegnare in tanti ruoli. Io davanti li ho fatti quasi tutti: ala, trequartista, interno. A me piace attaccare, ma mi sono reso conto subito di quanto sia fondamentale impegnarsi nel riconquistare la palla e non essere egoista». A sinistra in un centrocampo a quattro in Argentina; centrale o interno in quello a cinque, trequartista oppure esterno a sinistra nei tre dietro la punta nell’Udinese; interno sinistro, esterno a destra nei cinque o trequartista alla Juventus; dovunque, attacco compreso, in Inghilterra: Pereyra si è sempre adattato alle diverse esigenze dei suoi allenatori, cambiando ruolo di continuo, spesso senza conservarlo per più di una partita. Questa costante incertezza sul suo migliore impiego oscilla tra le difficoltà, comuni a molti calciatori simili, nel ritagliarsi un profilo da specialista e il grande pregio di poter offrire un rendimento efficace nonostante i differenti tipi di utilizzo; adatto per caratteristiche e fisicità all’interpretazione moderna del ruolo di trequartista, pur non spiccando per tocchi e passaggi risolutivi, l’insieme di opzioni e informazioni assimilate nell’intera linea mediana gli garantisce, inoltre, un ampio bagaglio di conoscenze spendibile più o meno ovunque.

La somiglianza dei gol contro il Verona (Juventus, 2015) e Atalanta (Udinese, 2021)
In una carriera contraddistinta dall’estrema duttilità, ci sono tuttavia almeno tre momenti peculiari nei quali la sua collocazione ha assunto un carattere stabile e identitario, anche in ragione della sua funzione per la squadra. Il primo risale alla stagione 2014/15 alla Juventus, quando Pereyra occupava in alternativa a Vidal il vertice alto del rombo di centrocampo, sviluppando efficaci connessioni con Llorente e Tevez e creando spazi alle loro spalle. Chi beneficiava dei suoi movimenti era proprio l’attaccante argentino, abituato a uscire dall’area e a fungere da vero trequartista di riferimento nel vuoto lasciato libero dai tagli verso l’esterno del Tucu. La particolare interpretazione del ruolo permetteva a Massimiliano Allegri di utilizzare in quella casella cruciale un uomo chiave per l’intelligenza delle scelte e la varietà di soluzioni nel suo repertorio, potendo ricavare una notevole fluidità di manovra tra centrocampo e attacco e la garanzia di un equilibratore a scongiurare eventuali scompensi tattici.

Pereyra si allarga per favorire la ricezione di Tevez. In quella posizione, si prepara sia alla ricezione per lo scambio, sia all’inserimento in area.
Il secondo arriva nel Watford versione 2018/19, dove viene schierato stabilmente da Javi Gracia come esterno a sinistra in un 4-4-2 declinato nelle varianti del 4-2-2-2 e del 4-1-3-2. In una squadra fisica e poco votata al possesso, dal gioco basato su rapide transizioni una volta recuperata palla, gli viene concessa libertà di movimento sulla linea a due formata con l’esterno opposto, avanzata rispetto ai due centrali, affidandogli a seconda del momento la scelta tra i movimenti verso l’interno per agevolare l’avanzata del terzino e l’azione offensiva come attaccante aggiunto, rapido e creativo tanto nei duelli individuali, quanto nelle incursioni a rimorchio nell’area di rigore.

Watford-Chelsea, dicembre 2018: con la catena sinistra raccolta in pochi metri, Pereyra attira su di sé la pressione e scarica su Holebas, pronto a servire Capoue libero da marcatura.
L’ultima fase di relativa continuità tattica è storia recente, dura ancora oggi ed è legata all’ennesimo adattamento che sta riuscendo a valorizzare Pereyra forse oltre alle aspettative iniziali, grazie alla disponibilità ad interpretare il ruolo in un momento critico per il gioco e i risultati dell’Udinese e alla volontà di insisterci, nel contesto di ritrovata fiducia di una squadra alla ricerca di una svolta. Dal suo ritorno ha agito in prevalenza da mezzala sinistra, o da interno se consideriamo la linea a cinque con i laterali, con lo slittamento a trequartista nelle occasioni in cui lo sfruttamento della sua qualità in una zona più avanzata appariva necessaria per forzare o recuperare la partita. Nella sfida contro il Napoli del 10 gennaio scorso, è stato schierato a supporto dell’unico attaccante, Lasagna, e ha mantenuto quella posizione ibrida tra trequartista avanzato e seconda punta – ad eccezione, almeno nei compiti iniziali, delle gare contro Inter e Verona – fino all’ultima contro la Lazio.
Da centrocampista, Pereyra sa gestire il possesso in una squadra connotata da un’identità fortemente reattiva, costruita negli ultimi anni di permanenza nella categoria con l’utilizzo di un calcio minimale e speculativo fondato sulla compattezza tra i reparti e veloci risalite del campo grazie soprattutto all’estro e al controllo in movimento di De Paul e alle doti da scattista di Lasagna. Nel processo di transizione tentato da Gotti verso un calcio più propositivo, diventava fondamentale innalzare la qualità della conversione dei passaggi ricevuti dalla difesa, nell’ottica della costruzione di un’alternativa ragionata al lancio per le punte e all’inevitabile scavalcamento del centrocampo. Una delle prime conseguenze di questa nuova impostazione è stata la diminuzione dei compiti richiesti all’attaccante boa e al suo partner cercato in profondità, ai quali ad un certo punto sono stati preferiti profili più adatti a unire l’attitudine a svariare per tutto il fronte offensivo, come Deulofeu e Pussetto. La partenza di Lasagna, il contestuale arrivo di Llorente nell’ultima sessione di mercato e i guai fisici degli altri attaccanti hanno rimescolato le carte, accelerando tuttavia il definitivo cambio di rotta con la scelta di avanzare, a fianco del centravanti spagnolo arrivato dal Napoli per fare il titolare, proprio Pereyra.
In questa posizione, il Tucu trasferisce la sua creatività più vicino all’area di rigore avversaria con meno spazio da coprire in partenza e quindi maggiore precisione negli assist e nelle conclusioni, e si rende utile con i movimenti incontro per chiamare il passaggio, far salire la squadra e dettare i tempi nell’alternanza tra pause e accelerazioni. Interpretando il ruolo come punto di riferimento mobile avanzato, è naturale che il suo interlocutore privilegiato sia De Paul; insieme possono raccordare la manovra, organizzando il riordino dei compagni, ma anche associarsi nelle situazioni di risalita del campo dove l’uno è l’appoggio sicuro dell’altro per rovesciare l’azione.
Se De Paul è rimasto per distacco il principale artefice delle fortune dell’Udinese, si può dire che Pereyra abbia avuto una funzione senz’altro complementare a livello tecnico, e soprattutto tattico, per garantire una pluralità di soluzioni determinante in special modo nelle partite da vincere contro le dirette concorrenti e per i punti pesanti ottenuti contro squadre più attrezzate, come ad esempio nel ritorno contro Milan e Sassuolo. Le statistiche parlano chiaro: tra i bianconeri è il terzo per dribbling riusciti (23) e palloni rubati (115); secondo dopo De Paul per reti (3) e assist (4), xA (3,34), palloni intercettati (33), passaggi chiave (32), big chance create (5) e dribbling tentati (53); primo tra i centrocampisti con la miglior percentuale di passaggi riusciti (87%) e il maggior numero di intercetti (16). A trent’anni compiuti, il suo dinamismo fa ancora la differenza nel nostro campionato in cui è al quindicesimo posto assoluto per Km percorsi a partita (11,11) e il suo bagaglio appare più completo dopo l’esperienza in Premier League, dove ha potuto misurare le proprie qualità con un contesto più fisico nel quale misurarsi nei duelli individuali.

La heat map 2020/21 di Pereyra
Come già visto altrove, anche all’Udinese la sua importanza deriva dall’attitudine a poter interpretare più ruoli con grande applicazione, dalla capacità di sapersi spesso mascherare da gregario pur avendo colpi e ispirazione da fantasista e dal conseguente impiego come fulcro per equilibrare il possesso in entrambe le fasi di gioco. Ora che la sua creatività può sprigionarsi più vicino alla porta avversaria, starà a lui decidere se questa sarà l’ennesima trasformazione nella sua carriera o se le vesti dell’uomo adatto per tutte le situazioni siano, in fondo, le più confortevoli.
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